di Lucia Esther Maruzzelli, Amica, ottobre 2005
“Andar per dighe richiede propensione alla fatica, capacità da detective, molta passione e amore per la montagna. I dighisti professionisti si ritrovano su Internet, formano club, organizzano escursioni, fanno proselitismo.”
L’andar per dighe è un piacere poco diffuso che vanta un parterre di fans inclini alle imprese ardite e con qualche passione per l’architettura, una forte propensione alla fatica e spirito da detective. Raggiungere una diga è operazione complessa, e anche trovarle non è semplice. Eppure non sono piccole, tutt’altro. Le chiamano monumenti d’ingegneria idraulica e d’altra parte devono sbarrare fiumi, contenere acque, produrre energia idroelettrica; ma si nascondono: dietro una curva, al di là di una vallata, in fondo a una stretta galleria o a un paesino di montagna.
Poi compaiono, quasi di sorpresa , e l’emozione è forte. Gli appassionati dicono che esiste una Bellezza delle dighe, data dalla loro imponenza e dai dettagli architettonici che le rendono uniche: la curvatura dei muri, la forma squadrata dei canali di scarico, le condotte, la perfezione delle acque stagnati del lago che si forma sotto tonnellate di cemento. Tornare più volte a visitarle o scoprirne sempre di nuove è il passatempo preferito di quelli universalmente riconusciuti come dighisti.
I dighisti forano piccoli clubs affiatati: ci sono i vecchi che magari le hanno viste costruire (il boom è stato tra gli anni 40 e 60) e i giovani che ci sono nato in mezzo e sono “impressionati dall’energia idroelettrica in quanto rinnovabile ed ecologica”, come dice Elvis Del Tedesco, quasi-ingegnere(informatico, però), autore col fratello Diego del sito www.progettodighe.it, “punto di riferimento per gli appassionato di dighe e opere idrauliche”, nato per soddisfare la curiosità di tutti quelli che hanno questa bizzarra passione e ne discutono in modo molto serio. Per ragioni geofisiche legate alle strette valli e alle frequenti piggie della zona, in Friuli abbondano le dighe. “ma dopo la tragedia del Vajont, duemila morti, da queste parti le dighe sono diventate argomento tabù, e allora e meglio non parlarne”. Meglio salirci sopra, appunto. Il tour migliore tocca le dighe di montagna della provincia di Pordenone: Redona, Ravedis, Barcis, Cà Selva, Cà Zul, Sauris. A un’andatura che consenta di godersi il panorama e le specialità dei luoghi (formaggi e prosciutto crudo, per esempio) un giro ben fatto, in auto, con visita a piedi diga per diga richde almeno due giornate piene.
(l’articolo continua con il tour delle dighe sviluppato da Progetto Dighe per il quale rimandiamo alle pagine degli specifici impianti)