Il colpo d'ariete è un fenomeno critico che va valutato attentamente nella progettazione degli impianti idroelettrici in quanto può causare molti danni alle infrastrutture o, nel caso alle centrali, alle macchine. In questo articolo ci occuperemo in particolare delle metodologie di gestione del colpo d'ariete nelle centrali.
Generalità
Negli impianti idroelettrici il fenomeno del colpo d’ariete riguarda le centrali nelle quali l’acqua viene convogliata con gallerie in pressione; cioè quelle alimentate da laghi. Non interessa invece le centrali ad acqua fluente nelle quali l’acqua vi arriva con canali a cielo aperto. Il colpo d’ariete è infatti una sovrapressione che si genera in una condotta quando l’acqua (o altro fluido) che la percorre subisce un brusco rallentamento o addirittura l’arresto. In tali condizioni l’energia cinetica dell’acqua in movimento si trasforma in lavoro di compressione che deve essere contenuto entro limiti di sicurezza per non compromettere l’integrità della galleria di derivazione, della condotta forzata, della turbina e delle apparecchiature collegate.
Nota. L’energia cinetica è proporzionale al volume dell’acqua in movimento nella condotta (lunghezza e diametro) e al quadrato della sua velocità.
La situazione più critica si verifica quando il gruppo di potenza turbina-alternatore funziona a pieno carico (cioè alla massima portata d’acqua turbinabile) e per una perturbazione alla rete elettrica si apre l’interruttore che collega l’alternatore alla rete stessa. Allora tutta la potenza della turbina, non più assorbita dall’alternatore, si trasforma in un aumento di velocità delle masse rotanti del gruppo, che potrebbero raggiungere anche valori pericolosi se non si toglie in tempi brevissimi l’acqua alla girante della turbina, senza però rallentare troppo bruscamente quella nelle condotte di adduzione.
Nota. Queste problematiche non interessano le turbine tipo Kaplan, per i bassi salti su cui operano.
Strategie comuni per controllare il colpo d’ariete
Nelle centrali con turbine Pelton e Francis per controllare il colpo d’ariete e di conseguenza anche la sovravelocità del gruppo, si ricorre a due distinti modi di operare. Uno, passivo, che è comune a tutti gli impianti con galleria in pressione, ed è il pozzo piezometrico posto alla fine della galleria e prima della valvola a farfalla di protezione della condotta forzata discendente verso la centrale. L’energia cinetica dell’acqua nella galleria, in conseguenza della riduzione di portata, si trasforma in un aumento di altezza risalendo il pozzo piezometrico (fig. 1).
L’altro, attivo, che agisce sugli organi di parzializzazione (distributore) che regolano la portata dell’acqua smaltita dalla turbina al variare della richiesta di potenza che l’alternatore deve erogare. Le modalità sono diverse a seconda si tratti di turbine Pelton o Francis, ma tutte sono basate sul fatto di rendere indipendenti due tempi:
- quello brevissimo, da frazioni di secondo a qualche secondo, durante il quale si deve annullare la potenza motrice fornita dalla turbina;
- quello sufficiente lungo, anche di decine di secondi, necessario per arrestare gradualmente il flusso dell’acqua nella condotta.
Come si agisce nelle turbine Pelton
Nelle turbine tipo Pelton il distributore, chiamato anche ugello o introduttore, costituisce la parte terminale della condotta di arrivo con sezione circolare decrescente fino alla bocca di efflusso, dove la portata viene regolata dallo spostamento assiale di una punta conica (spina o spillo). L’annullamento della potenza si ottiene con l’impedire che il getto dell’acqua che esce dall’ugello colpisca la ruota. Questo si ottiene frapponendo fra getto e ruota un ostacolo chiamato tegolo (o tegolo deviatore). Successivamente si chiude lentamente la spina fino ad annullare la portata d’acqua. Come si vede dalla fig. 2, è un dispositivo molto semplice.
Come si agisce nei gruppi con turbine Francis
Nelle turbine tipo Francis, il distributore è costituito da una serie di palette che contornano la girante; palette che ruotando contemporaneamente intorno al proprio asse comandate da un sistema di leve, variano la sezione di efflusso dell’acqua. Anche con queste turbine si attua la deviazione del flusso d’acqua, però con un dispositivo molto più complesso e ingombrante detto scarico sincrono (fig. 3), che in pratica è un bypass della turbina. Quando si deve annullare la potenza della turbina si attua la veloce chiusura delle pale del distributore e contemporaneamente – cioè in modo sincrono – viene aperta una via ausiliaria di scarico, così da non variare la portata d’acqua. Poi lo scarico sincrono lentamente si chiude fino ad annullare la portata d’acqua.
Funzione dei pozzi piezometrici
I pozzi piezometrici sono delle strutture verticali, o subverticali, del diametro all’incirca di quello della galleria di derivazione con alla sommità uno slargo, detto camera di espansione, per raccogliere l’acqua sfiorata. La quota di sfioro è ovviamente maggiore della quota di massimo livello del lago. La camera di espansione può essere chiusa, e allora l’acqua sfiorata ritorna nel pozzo e in galleria nel successivo riflusso (onda di pressione oscillatoria negativa), oppure aperta e l’acqua viene convoglia a valle della centrale con tubazioni o canali. A volte, con gallerie molto lunghe oppure quando sia previsto che le turbine prendano carico molto rapidamente, i pozzi piezometrici hanno anche a circa metà altezza un’altra camera, detta camera di alimentazione, come indicato in fig. 1. Infatti partendo da centrale ferma o con i gruppi in servizio ma a carico zero – quindi con l’acqua nella galleria praticamente ferma – quando si apre il distributore la prima acqua viene fornita dal pozzo piezometrico che abbassandosi di livello crea quella differenza di quota con il lago necessaria a richiamare l’acqua dallo stesso. Ma la colonna d’acqua nella galleria, per sua inerzia, richiede un certo tempo a mettersi in moto e, se non si calibrano bene i tempi di apertura del distributore, il pozzo si potrebbe vuotare scoprendo anche il cielo della galleria. La camera di alimentazione arresta invece l’abbassamento di quota perché con il suo volume “alimenta” la turbina. Il livello dell’acqua nel pozzo si stabilizzerà poi in base alla portata richiesta e quindi alle perdite di carico nella galleria. A volte tutto il pozzo è di grande diametro, così da essere nello stesso tempo camere di espansione e di alimentazione.
Casi di Soverzene e Somplago
Si è visto che lo scarico sincrono nelle turbine Francis è una apparecchiatura ingombrante e onerosa. Per questo quando è possibile si cerca di non installarlo. E’ il caso, ad esempio, di Soverzene e Somplago (centrali per molti versi “gemelle”) dove le turbine Francis sono senza scarico sincrono.
Questo è stato possibile ricorrendo a due altre particolarità costruttive e precisamente:
- posizionare le centrali in caverna, nella direzione dei due rispettivi laghi (Val Gallina ed Ambiesta) per ridurre la lunghezza delle gallerie in pressione e quindi dell’acqua in movimento. Le centrali sono circa 600 m all’interno;
- aumentare l’inerzia della parte rotante dell’alternatore appesantendo il rotore, il cui peso è stato portato a circa 200 t (figg. 4 e 4 bis). In questo modo, a pari energia fornita dalla turbina in caso di scatto, lo scarto di velocità è minore. Senza questa necessità, il rotore potrebbe pesare circa la metà.
In conclusione, nella fase progettuale, ottimizzando e coordinando il dimensionamento di vari elementi: condotta, pozzo piezometrico, momento di inerzia della massa rotante e tempo di chiusura del distributore, si è potuto non installare lo scarico sincrono e contenere, anche in caso di scatto a pieno carico, la sovrapressione e la sovravelocità in limiti accettabili (+ 20 % circa) pur con un tempo di chiusura totale del distributore relativamente lungo (dell’ordine dei 5 secondi).
Nota storica per Soverzene
Per le limitazioni imposte dalla viabilità al tempo della costruzione della centrale di Soverzene – nel 1946 era appena terminata la guerra e le strade e i ponti erano ancora in parte disastrati - non è stato possibile trasportare, dalla Marelli di Milano, i rotori completi del peso di 200 t. Sono stati perciò assemblati in centrale e, per riscaldare i piastroni-zavorra prima di infilarli nella bussola del rotore, si è costruito nella sala macchine di Soverzene un apposito forno ad induzione (fig. 5). Anni dopo, a Somplago i rotori sono invece arrivati già assemblati perché la viabilità era stata ripristinata.